Dolori e gioie di raccontare la realtà attraverso i numeri
All’anno esatto dall’inizio della pandemia, possiamo dire con certezza di aver imparato, o quanto meno famigliarizzato con i numeri. Questi ci hanno dato la possibilità di capire, tramite un racconto differente, una realtà al limite della fantascienza.
Resta comunque evidente che si tratta di una percezione e non di effettiva presa di coscienza sul valore dei numeri. Il loro significato estrinseco è ben lontano dalla nostra comprensione, non siamo ancora in grado di accostare un vero senso scientifico alla realtà in cui viviamo. Almeno per i non addetti ai lavori.
Tuttavia in un anno qualcosa è cambiato e, se vogliamo, ricambiato più e più volte, fino a qui.
La strategia dei numeri per parlare al cervello
Da tempo marketer, strategist e consulenti aziendali, hanno cercato di far comprendere alle imprese quanto fosse importante trasmettere al proprio target di riferimento il valore delle proprie azioni e della propria mission, attraverso la messa in evidenza di numeri positivi.
Si tratta di un processo cognitivo molto semplice, in accordo con il sistema di funzionamento del nostro cervello, pigro e tendente alla semplificazione.
Utilizzare i numeri in modo positivo per raccontare una storia, migliora le possibilità che un brand venga ricordato dal suo target.
Numeri positivi e negativi nell’era Covid
Questo stesso momento storico ci ha però posto dinnanzi ad un altro problema, ovvero l’effetto placebo che spesso abbiamo nei confronti di questi stessi numeri.
Oggi combattiamo una battaglia incredibile, che vede ancora decessi, migliaia di contagi, percentuali di peggioramento, eppure, proprio di pochissimi giorni fa sono i dati sulle morti post vaccino.
Niente di paragonabile ai dati sui contagi e sulle ospedalizzazioni, ancora elevatissimi e su cui abbiamo ormai uno sguardo distratto. Come mai 7 decessi in 7 giorni, iniziano a pesare molto di più di oltre 300 morti di Covid giornalieri?
Sappiamo che ci sono comunità caratterizzate da un numero considerevole di No Vax, per esempio la Germania, ma al di là delle caratteristiche sociali il punto è: come può il cervello percepire come pericolosa una proporzione così semplice?
Beh, la risposta sta sicuramente nel fatto che il nostro cervello, sebbene sia pigro e tenda alla semplificazione, recepisce nozioni e informazioni attraverso la parte emotiva e razionale, caratterizzata da tutti quei “file” che ci rendono unici: la nostra formazione, la nostra cultura, il credo religioso e molto altro.
Proprio per questo motivo è interessante capire la viralità di fenomeni, come quello No Vax per esempio, che non si basa su una coscienza scientifica, ma bensì su principi legati alla civiltà e al sociale.
Storicamente infatti, i No Vax si ribellavano non al vaccino in sé, ma bensì alle sue applicazioni: su chi venivano sperimentati i vaccini, la loro obbligatorietà e altri principi che stanno alla base delle libertà dell’individuo.
Inoltre, un fattore molto importante è che iniettarsi un vaccino è un fatto privato e del corpo, la “cosa materiale” più intima che abbiamo. Questo chiaramente ci svela il perché di una percezione dei numeri così altamente filtrata.
Questa piccola digressione mi ha permesso di capire che ogni azione che intendiamo mettere in atto, al fine di esprimere un valore, un concetto o un’esperienza, che si tratti di un brand o di una notizia, possiamo avvalerci dei numeri, ma il loro utilizzo deve essere attento a tenere presente tutte le sfumature umane.
Comporre una storia con i numeri quindi, non è meno pericoloso o meno incline a fraintendimenti, rispetto all’uso della parola.
Usiamo i numeri con la stessa dovizia con cui i poeti utilizzano le parole.