Il ruolo dei social nelle aziende per le aziende
Dopo due chiacchiere con Valentina Vellucci (head communication di Magilla) e Antonio Lombardi (digital strategist) in quel posto santo che è La Circle, mi sono seduta a buttar giù idee e a processare le informazioni, rendendomi conto che forse ho già secolarizzato la pandemia.
Da più di un anno e mezzo prolifera nelle aziende la caccia al social media strategist e al content creator digitale. Molto prima di questo però gli strategist dicevano alle piccole e medie aziende italiane che il digitale (social connessi), avrebbero cambiato il modo di fare business, ma all’epoca è successo poco. Finalmente oggi ci siamo, o comunque corriamo ai ripari.
Chi invece aveva già inserito nei propri processi comunicativi aziendali il digitale, si è trovato spiazzato di fronte ad una programmazione da smantellare, PED bloccati e comunicazioni confuse.
Questi due binari, viaggiano in modo parallelo e ci raccontano un mondo vero e, per molti versi complesso, che spero potremo guardare con simpatia e tenerezza tra una decina d’anni. Del tipo: “Ti ricordi quando gestivamo i piani editoriali dell’azienda con gli excel? Eppure anche quello è servito”.
Che cosa voglio dire? Non voglio criticare tout court il modo di agire sui social, di fatto chi sono io per farlo? Nessuno, non sono nemmeno un reale social media. Tuttavia creo contenuti e lo faccio anche per Facebook, Instagram, LinkedIn e compagnia allegra, pertanto sono un loro strumento.
Se per le aziende che si rivolgono direttamente ai consumatori (aziende B2C) l’operazione può sembrare più semplice (ma non di tantissimo), per tutte quelle imprese che svolgono un servizio o vendono un prodotto per altre aziende (B2B), la foresta si incupisce.
Come sono gestiti solitamente i social nel B2B?
La trappola del piano editoriale è sicuramente uno degli elementi da non sottovalutare. Benché apprezzi e mi senta più a mio agio con una programmazione ben definita, questo porta a non pochi disagi e se vogliamo, a molti vizi di forma.
In primo luogo, definire 3 mesi prima 12, o più post scandagliati per topic, dà l’idea di un’azienda che non vive nel suo tempo, che non vuole schierarsi o che comunque non è comoda nel dare la propria opinione su fatti e questioni di attualità che inevitabilmente cambieranno in qualche modo il suo modo di essere o di fare business: nuove leggi, emendamenti, notizie di borsa o in generale, notizie che influenzano il mercato, aggiornamenti politici, di attualità e molto altro.
I consumatori e in generale il pubblico ha sempre più bisogno di sapere cosa ne pensa un brand su questioni cruciali e se non si schiererà, per quale ragione.
Essere un’impresa, se pur piccola, vuol dire essere una particella di un determinato mercato e di un’economia che, altrimenti sarebbe un’altra cosa. Di questo le aziende si devono occupare e devono essere ben consapevoli nel farlo. Il brand activism è una strategia particolarmente vincente nell’ultimo periodo, ma se non maneggiato con cura estremamente pericolosa.
Questi elementi non determinano solo il valore di un’attività profilandosi precisamente, ma fanno sì che i famosi termini mission e vision non restino tali, ma si riempiano di significato. Senza una precisa indicazione di chi è e perchè è, l’azienda non può “essere sui social”. A mio parere non può essere da nessuna parte, ma nel caso specifico sui social network potrebbe essere altamente nocivo.
Nel 2021 le aziende investono sui marketer digitali e sui social manager per avere gli strumenti migliori per identificare il target e avere accesso a tutte le preferenze dei consumatori. Ma come azienda ci si è mai chiesti se si è parimenti profilati? O meglio, se siamo ben definiti, quindi opzionabili dal nostro pubblico? Oppure siamo immersi nel “necarnenepescismo”?
Noi cerchiamo chirurgicamente le persone (già sono persone!) che dovranno acquistare da noi, ma noi riusciamo a dare informazioni circa la vera anima aziendale?
Non sono un’amante sfegatata dell’instant marketing, il rischio di errore o mal posizionamento è davvero molto elevato. Tuttavia credo che sia uno strumento utile così come gli UGC, ovvero i contenuti creati dagli utenti: i repost di fonti autorevoli e il mettersi in gioco dei brand utilizzando le parole degli altri, sempre dopo aver valutato i pro e i contro.
Questo può voler dire che non si sarà i primi a postare il contenuto WOW (quanto odio questa parola!) ma se una volta arrivati alla sua elaborazione, la notizia o il contenuto sarà già esaurito, vorrà dire che il contenuto non meritava di essere “lavorata”.
Aggrapparsi agli elenchi di prodotti o servizi, o peggio, alle promozioni, sui social vuol dire non avere strategia e benché la ricerca organica sui social non esista, l’ADV non potrà essere in grado di salvare nessuno!
Su quali social stare per spaccare?
La mia risposta sarebbe sempre “nessuno”, ma solo perché non ho ancora avuto modo di dire il contrario a qualcuno (ho molto da imparare).
Mi sento di dire però che non esiste un social per chi fa letti e vuole venderli, chi vende mensole per i centri commerciali, o un altro per chi fa l’avvocato. Sarebbe davvero sbagliato pensarla così e forse vorrebbe dire appiattire i social su loro stessi e paradossalmente, farli diventare tutti uguali.
I social si scelgono soprattutto per le possibilità che si hanno, sia a livello di competenze, che a livello di risorse umane a disposizione. Banalmente se hai un social media manager è inutile pensare di aprire e gestire 7 diversi profili. Il rischio molto concreto è di non farne fruttare nessuno, o peggio di veicolare lo stesso messaggio su tutti i canali (cosa che mi urta quasi quanto l’effetto WOW).
Tutti i social sono nati con uno scopo, gli utenti ne hanno fatto le evoluzioni, ma in linea di massima dobbiamo concentrarci sulle possibilità che questi ci offrono:
- su LinkedIn cerchi lavoro o lavoratori, pertanto lo scopo dovrà essere avere appeal come azienda o come professionista nel settore di riferimento; senza banalizzare, ma è importante capire che quasi nessuno ti chiederà informazioni o un prezzo di un prodotto in offerta;
- Facebook invece sta provando a sostituirsi sempre di più ai siti, infatti esistono cataloghi di prodotti, e in alcune nazioni è possibile acquistare e vendere direttamente sulla piattaforma. Questo approccio fa sì che in molti lo vedano come il social su cui essere, per forza. Io dico può darsi, ma anche qui attenzione! Il pubblico è vastissimo, forse la creazione e la sponsorizzazione di gruppi di argomento chiusi potrebbe essere il modo per ottimizzare;
- su Instagram non puoi prescindere dalle immagini, per cui se non hai internamente un grafico che lavora fianco a fianco con il copy, potrebbe essere un grave errore aprirlo. In questo contenitore parlare di prodotto non è sbagliato, ma appunto deve avere una forte leva visiva e bloccare lo scroll.
Potrei continuare ancora, ma non conoscono molti altri social tanto da dedicargli una “pro e contro list” e anche quelli elencati hanno moltissime altre potenzialità o minacce non indicate e che meriterebbero un approfondimento. Sono certa che con gli obiettivi giusti e le conoscenze appropriate sui canali, qualsiasi imprenditore può sviluppare la sensibilità nella scelta del social appropriato, assieme al suo professionista.
Il pericolo dei social, o il terrore?
Attualmente nel panorama delle strategie social vedo molte aziende bloccate o intimorite dall’utilizzo dei social, dalle virgole o da una parola utilizzata al posto di un suo sinonimo, fino ad episodi incresciosi, in cui pubblicamente si dà la colpa al social media manager.
Mi sembra una debacle da evitare, al netto del fatto che gli errori si commettono e per questo si chiede scusa, il social media manager è uno strumento appunto, che se non ha policy specifiche e obiettivi prestabiliti a cui fare riferimento, il suo destino non è altro che sbagliare.
La mia opinione personale è di cedere alle emozioni, condividere fuori quello che si ha dentro, perché tanto mentire o non raccontare non serve a nessuno. Quel che ha di buono l’internet è che smaschera i più, presto o tardi.
Il cedere alle emozioni, porta con sé la voglia di essere fuori da piani editoriali a prigione e determina la possibilità di essere nella vita reale.
Quindi all’annosa domanda, come raccontare il B2B sui social, non si dovrebbe rispondere con lo storytelling, che può voler dire tutto e niente, ma essendo se stessi e se quello che siete non vi piace, cambiatelo!